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PROSPETTIVA FAMIGLIA
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17 aprile 2013 – Incontro con il Magistrato Dott. Giuseppe Ayala

17 aprile 2013 – Incontro con il Magistrato Dott. Giuseppe Ayala

 

La Scuola per Genitori di PROSPETTIVA FAMIGLIA,

nell’ambito del Progetto di Educazione alla Legalità, organizza l’incontro con il

Magistrato dott. Giuseppe AYALA

17 aprile 2013 – Istituto “Aldo Pasoli”

Relatore:

  • Magistrato dott. Giuseppe AYALA

 

Un’altra serata da incorniciare nella breve storia della nostra associazione con un ospite di altissimo prestigio e che incarna un pezzo della nostra storia, il giudice Giuseppe AYALA.

Ancora una volta abbiamo vissuto la bellezza di sentirci ammaliare da una figura che ha vissuto da dentro i momenti decisivi della storia della Repubblica negli ultimi 25 anni; una figura che, pur avendo vissuto da protagonista la vita del nostro Paese dagli anni Ottanta in avanti, ti parla con la semplicità e la mitezza dei semplici; e proprio chi sa rendere semplici i fatti ed esporre in modo così lineare e fluido i momenti, anche i più tormentati, della vita politica e giudiziaria del nostro Paese, è colui che dobbiamo prendere ad esempio e seguire con la fiducia di poter contare su una mente lucida e competente, forte dell’esperienza diretta sulle grandi svolte – fatte o mancate – che hanno segnato la nostra storia repubblicana.

Che bello conoscere una persona così: la perspicacia e la diplomazia della gente del Sud fusa con l’acutezza e la concretezza di un mitteleuropeo.

Prima di passare la parola al nostro fantastico ospite, sono stati dedicati alcuni minuti al “benvenuto” del padrone di casa, dott. Sandro Turri, ai saluti dell’Assessore alla Famiglia, Politiche sociali e Pari opportunità dott.ssa Anna Leso, all’accoglienza della Prof.ssa Daniela Galletta che ha reso possibile questo avvenimento e ad una breve introduzione del Prof. Patrizio Del Prete, insegnante all’Istituto “Berti” e amico fraterno del giudice.

Il nostro protagonista ha preso spunto da un altro grande personaggio che il Mezzogiorno ci ha regalato e cioè lo scrittore Leonardo Sciascia, autore di un libro-simbolo, da cui è stato tratto un bellissimo film, intitolato “Il giorno della civetta”. In particolare, si è partiti da un’intervista che Sciascia fece con il giornalista Giampaolo Pansa, nella quale – a proposito di mafia – lo scrittore introdusse la “teoria della palma”. Una teoria, secondo la quale, la palma per effetto di un impatto astronomico sul clima, si sposterebbe ogni anno di circa 100 metri verso nord e, in conseguenza, del quale in non molti anni, la palma non crescerebbe più nelle aree del Mezzogiorno, ma si sposterebbe progressivamente verso le regioni del Nord.

Cosa c’entra questa teoria con la mafia ?

 

La similitudine riguarda il fatto che, secondo Sciascia, anche la mafia si sposterebbe progressivamente verso nord e andrebbe ad ammorbare le regioni del Nord Italia, abbandonando pian piano il Mezzogiorno.

A distanza di un quarto di secolo, dobbiamo ammettere che le parole di Leonardo Sciascia furono davvero profetiche. La mafia ha nel frattempo aggredito le aree più ricche del nostro Paese ed oggi dobbiamo assistere con grande rammarico allo scioglimento per infiltrazioni mafiose di consigli comunali come quelli di Buccinasco, Bardonecchia, Bordighera, …

Con questo, guai a generalizzare: non tutti i Comuni del Nord sono infiltrati, anzi molti lavorano con alacrità ed onestà; diciamo, tuttavia, che possiamo ipotizzare una situazione a macchia di leopardo. Il giudice ha poi stemperato il quadro, ironizzando su questa espressione (“per una volta, bisognerebbe davvero smacchiare il leopardo”), ma è chiaro che il problema c’è e va affrontato.

Eppure nel frattempo sono successi fatti incredibili: fra questi il maxi-processo di Palermo, che rappresentò un vero e proprio spartiacque, un punto di non ritorno nella storia del nostro Paese. Un evento nel quale il nostro giudice nisseno, nel ruolo allora di Pubblico Ministero, condusse così bene l’azione penale – supportato anche dal lavoro e dagli atti messi a disposizione da due mostri sacri come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – da riuscire a far condannare 475 imputati, di cui 19 veri e propri “capi” di Cosa Nostra. Una sentenza storica, sia per essere arrivata immune fino al III° e ultimo grado della Corte di Cassazione e sia perché quella sentenza racconta tutto quello che c’era da sapere sulla mafia. Una sorta di enciclopedia sulla materia.

Gli anni successivi non sono passati inutilmente; alcune cose sono cambiate e possiamo dire che la mafia non uccide più o comunque non lo fa con la ferocia e la frequenza di quegli anni tristissimi (non ci siamo certo dimenticati degli assassinii del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa o del capo della Squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, solo per citarne un paio), ma è anche vero che restano ancora irrisolti alcuni nodi cruciali. Spietate le cifre snocciolate dal giudice:

1)     Fatturato della mafia: 150 miliardi di euro / anno;

2)     Corruzione: 60 miliardi di euro / anno;

3)     Carico fiscale: 130 miliardi di euro / anno.

Giuseppe Ayala ha poi affrontato il tema della globalizzazione; ha ammesso che c’è e non possiamo ignorarla. E su questo tema, ha prospettato l’esempio di una gara di atletica fra nazioni, dove ogni atleta rappresenta una nazione: ebbene, l’atleta che rappresenta l’Italia è ben allenato e pronto a giocarsi le sue carte, ma al momento dello sparo dello starter, si trova legato ad una caviglia un pallone di piombo pesantissimo. E’ il pallone dell’illegalità ed è chiaro che in queste condizioni non potrà mai vincere la competizione. Tutti gli atleti hanno una palla al piede (“al di sotto di una certa soglia, l’illegalità è fisiologica” (A. de Tocqueville)), ma il nostro ne ha una di dimensioni davvero esagerate e quando l’illegalità supera una certa soglia, ha un effetto fortemente distorsivo.

Ecco allora che ne scaturiscono fenomeni purtroppo tipici del nostro Paese: come da nessun’altra parte, pezzi della Politica si scagliano contro la Magistratura.

Ma partiamo da dati statistici: da un’indagine degli ultimissimi anni della Banca Mondiale per gli Investimenti sui tempi della giustizia, è emerso che l’Italia – su un campione mondiale di 181 Paesi – occupa l’indegno 146° posto e viene dopo Stati come il Gabon. Che la qualità della giustizia sia più che buona nel nostro Paese, lo si può anche ammettere; che si debba, tuttavia, rilevare che per un risarcimento, i tempi di ottenimento della sentenza di I° grado (quindi non è ancora finita) siano di 1.210 gg. contro i 370 della Germania ed i 337 della Francia, è altrettanto vero.

Che i nostri tribunali impieghino tempi 3 o 4 volte superiori a quelli tedeschi o francesi è dura da mandar giù. Così come è duro ammettere che i danni provocati da questa inefficienza siano incalcolabili: a partire dai capitali che lasciano il nostro Paese e dagli imprenditori che si rifiutano di far partire attività qui da noi, appena sanno che burocrazia e giustizia si muovono ai ritmi delle lumache. E’ piuttosto ragionevole pensare che burocrazia e giustizia devono supportare il business e l’economia: non esserne il freno e il deterrente.

Se proviamo a pensare alle possibili cause di queste lungaggini e del fatto che non si riesce a risolvere il problema, verrebbe da pensare che risolverlo o è costoso oppure è difficile.

Ebbene, il giudice Ayala – che è stato ed è protagonista sia del mondo giudiziario che di quello politico – ci dice che – dopo ampia riflessione – risolvere la lunghezza dei tempi della giustizia non è né difficile, né costoso. Anzi, sicuramente si chiuderebbe con un bel risparmio per le casse dello Stato e per la nostra economia. Ma allora perché non si risolve ?

La sua risposta è: perché così vuole la Politica, perché così chi si muove nell’illegalità può agire per lunghi anni (e magari fare carriera) prima che si dichiari che ciò che ha fatto è reato. Se invece di impiegare un paio d’anni, un iter processuale ne impiega 18, chi ha commesso quel reato ha tutto il tempo di continuare ad agire senza pericolo di dover far visita alle patrie galere. E ciò perché viviamo in un Paese in cui ci si muove secondo la regola per cui “tutto ciò che non è reato, si può fare”. Un’interpretazione un po’ forzata, secondo il nostro caro giudice, che andrebbe invece ricondotta all’alveo dell’art. 54 della Costituzione che invece dice che “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, …”. Un riferimento che ci era stato fatto anche dal dott. Pier Paolo Romani nell’incontro sulla legalità che avemmo all’Alcione alla presenza di don Ciotti il 25 gennaio u.s. (ricordate ?).

Infine, il giudice Ayala ci ha voluto spiegare i motivi che lo hanno portato a scrivere il suo ultimo libro “Troppe coincidenze”; il desiderio, secondo le sue parole, di darci una diagnosi dei mali del nostro Paese.

Diagnosi e terapia: due elementi strettamente interdipendenti; una diagnosi corretta è condizione necessaria (anche se non sufficiente) per una terapia corretta; ma se la diagnosi è errata, la terapia sarà sicuramente errata. Ayala ci vuole indicare la sua diagnosi; se capiamo la malattia di cui soffre la nostra Repubblica, potremo lavorare sulla terapia da adottare; se, invece, non elaboriamo una diagnosi corretta, non potremo sperare in alcun modo di predisporre una terapia volta a sanare il problema.

Mille altri gli spunti che ci ha fornito questo splendido personaggio: da quanto tempo la mafia resiste e persiste (quasi due secoli); anche questa una considerazione che abbiamo già avuto modo di sentire nei nostri passati incontri del ciclo sulla Legalità; come lo Stato ha sempre agito – subdolamente – nel favorire la mafia, fin dai tempi di Cesare Mori (il “prefetto di ferro”); sia allora che successivamente (accadde lo stesso con il giudice Falcone), lo Stato promosse ad altro incarico, pur di distrarre dalla sua azione chi stava lavorando per il bene della nazione (promoveatur ut amoveatur (sia promosso, affinché sia rimosso)…).

Da Garibaldi in poi e fino allo sbarco degli Americani nella II^ Guerra Mondiale, chi aveva interesse si avvalse della collaborazione dei mafiosi per contrastare lo Stato e creare un particolare modo di agire e tutelare i propri interessi. Non so se la fattispecie dell’art. 416-bis (Associazione a delinquere di stampo mafioso) sia meno frequente oggi rispetto a qualche anno fa; di sicuro, possiamo dire che questi poteri si sono infiltrati nei gangli della politica e dell’economia, ammorbandone i centri vitali. Con amarezza, il giudice ha ricordato la visita in Sicilia dell’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti per i funerali di Salvo Lima (“non era affatto colluso con la mafia, era un vero e proprio mafioso, non c’era bisogno di essere collusi”), mentre non mise piede nell’isola per i funerali di Giovanni Falcone …

Tanti ricordi, tante lucide citazioni e notizie di chi – come dicevo – ha vissuto dal di dentro i momenti cruciali della vita politica italiana di quegli anni (la fallita elezione di Forlani a Presidente della Repubblica il 20 maggio 1992, la strage di Capaci del 23 maggio e l’elezione di Carlo Azeglio Ciampi del 25 maggio): per dirla col titolo del suo libro: Troppe coincidenze …

220 persone stasera ad ascoltare questo “pezzo di storia italiana”, che si sommano alle 500 persone che hanno assistito all’incontro del mattino. Il nostro giudice si porta a casa una platea di più di 700 persone in questo 17 aprile 2013 che non dimenticheremo tanto presto. Per non parlare degli ascolti nelle TV e radio locali.

Ringraziamenti vanno al Dirigente Sandro Turri che ha ospitato la riuscitissima manifestazione, ai Dirigenti scolastici delle 28 scuole che, insieme alle 3 Parrocchie e alle 3 associazioni sportive, compongono la Rete di Prospettiva Famiglia. Ulteriori ringraziamenti vanno a coloro che hanno composto un vero e proprio “parterre de roi” della manifestazione, a partire dal Sindaco Tosi, per proseguire con gli Assessori Anna Leso ed Alberto Benetti, dal Presidente dell’ESU di Verona Prof. Domenico Francullo al Presidente della VI^ Circoscrizione Mauro Spada, dalla dott.ssa Anna Lisa Tiberio dell’Uff. Scolastico Provinciale al Presidente dell’AGSM dott.  Paternoster.

Infine, un grazie di cuore al giudice Giuseppe Ayala, che ci ha dato momenti di grande emozione e di grande spessore. Emozione e spessore che si sono fusi in autentica commozione sulla proiezione finale delle diapositive del percorso di quest’anno sulla Legalità, sulle note inconfondibili dell’aria della Turandot “Nessun dorma”.

Nessun dorma, siamo vigili e pronti, vogliosi di riscattarci e di creare le premesse di una società civile di primo livello, l’alba di una nuova civiltà.

Per Prospettiva Famiglia
Paolo

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L’Arena martedì 16 aprile 2013 : La cultura della legalità, il Pasoli ospita Giuseppe Ayala

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L’Arena.it del 18/04/2013 : «La mafia si può sconfiggere Non servono eroi, ma uomini»

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